Etnopsicoanalisi

Etnopsicoanalisi e il Mondo dell’Altro

etnopsicoanalisi
Scritto da Adriano Legacci

Principi di Etnopsicoanalisi sulla base delle indicazioni di Tobie Nathan

L’Etnopsicoanalisi

Dopo aver inquadrato l’emergenza del processo migratorio degli ultimi anni, descritto il sistema di assistenza e cura con la quale si prova a rispondere a questi problemi, abbiamo delineato i presupposti psicologici ed epistemologici dell’Etno-psichiatria, ossia la disciplina attualmente utilizzata da buona parte degli psicologi e psicoterapeuti che si occupano di tale emergenza.

Nel presente articolo invece cercheremo di rendere l’idea di come il terapeuta entra nel Mondo culturale dell’Altro, usandone il linguaggio ed i simboli interni per promuoverne il cambiamento. Questo metodo è stato messo a punto in Francia, a partire dagli anni 80’/90′, un paese con un alto numero di immigrati o generazioni francesi figlie di immigrati, ed al tempo stesso un sistema di servizi assistenziali dove accedevano una quantità significativa di persone provenienti da questa fascia della popolazione.

Questo metodo evolve dall’Etnopsichiatria ma prende un altro nome: l’Etnopsicoanalisi.

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Psicoterapia e Spiriti

Ogni cultura ci fornisce i simboli, le credenze ed i mezzi per gestire la propria sofferenza, e qualora essa sia significativa, se si vuole rispondere al paziente bisogna saper entrare delicatamente e rispettosamente dentro il suo Mondo interno, usandone attivamente i simboli culturalmente determinati, parlando il suo linguaggio mentale: “Il sistema culturale è costituito da un insieme di enunciati che riguardano la natura e la trasformazione della persona, dei morti, degli antenati e del male. Non può esistere alcun processo psichico senza l’esistenza di un filtro culturale che ordina, governa e fornisce i principali strumenti di interazione della persona con il mondo.” (Nathan, 1993, pag. 15)

Tale visione teorica e tecnica si è delineata quando nei servizi socio-sanitari delle principali città francesi iniziarono a presentarsi casi particolari: molti pazienti (provenienti dal Magreb, l’Africa sub-sahariana, le isole caraibiche, le Antille, Reunion e Mauritius) riferivano di essere posseduti da Demoni, Spiriti degli Antenati o Jinn, tutti esseri soprannaturali, oppure di essere vittima di un sortilegio o una pratica voodo, lanciato da qualche oscuro nemico o un membro familiare invidioso.

Questi pazienti presentavano anche molti sintomi somatoformi, allucinazioni sensoriali, quadri isterici o depressivi, fino ad arrivare in diversi casi a crisi mistico-persecutorie che sembravano rientrare nei parametri psichiatrici dello scompenso schizofrenico. Molte delle popolazioni non occidentali, provenendo da culture fortemente spiritualiste, danno alla sofferenza psichica una spiegazione ed una raffigurazione spiritualista, ultra-sensibile; solo parlando il linguaggio allegorico e magico di questo universo mentale si può andare ad operare psico-terapeuticamente.

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I Jinn e il Mondo dell’Altro

Un passaggio di Nathan, Principi di Etnopsicoanalisi (1993) offre un esempio molto interessante. Nel testo Nathan fa l’esempio dei Jinn e dell’interazione con il paziente musulmano: in molti paesi del Magreb queste creature sono dei demoni che perseguitano la persona, angosciandola e terrorizzandola tutto il tempo.  È interessante pensare al significato delle figure analoghe nella mitologia greca, le Erinni, furie che perseguitano Oreste e rappresentano la vendetta ed il senso di colpa.

Si pensa che ci siano 2 tipi di Jinn, quelli musulmani e quelli pagani; questi ultimi sarebbero i più terribili, perché con loro non è possibile parlare e negoziare. Inoltre in diverse culture extra-europee, fra cui c’è anche quella araba, vi è una grande riservatezza e pudore per la sofferenza mentale e la sua esplicitazione, soprattutto quando l’interlocutore non condivide la propria cultura di appartenenza; così, quando si presenta un paziente musulmano che sembra esser posseduto dai Jinn (per quanto egli non ne parli a causa del suo pudore) “sarà sufficiente, ad esempio, esclamare Bismillah!” (Nathan, 1993).

“Bismillah” in arabo vuol dire “In nome di Dio”, ed è l’inizio della prima Sura (preghiera) del Corano, la più importante del Libro, la Sura “Al Fatiha”. Questa parola quindi è anche una formula fissa che in arabo può essere usata per diverse risposte e significati; essendo la Sura in questione recitata anche durante i riti di esorcismo e contrattazione con i Jinn, il paziente musulmano capisce subito che noi dicendo Bismillah stiamo alludendo implicitamente ai Jinn, pur senza nominarli.

Tra l’altro la citazione coranica sottintende che si sta parlando a Jinn musulmani, e non blasfemi. Come dice Nathan “L’esclamazione Bismillah! sostituisce dunque ogni enunciato del tipo “Lei soffre a causa dell’attacco di un Jinn!”, che si rivela non solo impossibile, ma soprattutto inutile, poiché privo del dinamismo delle formulazioni tradizionali” (Nathan, 1993, pag 78). Ecco qui un piccolo ma calzante esempio di cosa voglia dire entrare nel Mondo culturale dell’Altro e parlarne il linguaggio.

BIBLIOGRAFIA

  • Tobie Nathan, Principi di Etnopsicoanalisi, 1993

Sull'Autore

Adriano Legacci

Titolare del Centro di Psicologia e Psicoterapia Dr. Legacci Padova.
Fondatore dell'Associazione Umaniversitas Academy , Corsi per Manager e Leader.
Cofondatore dell'Associazione Gli Argonauti, Psicoanalisi e Società.

Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave in qualità di psicoterapeuta.

Tiene corsi e seminari di crescita personale e professionale per manager e dirigenti d'azienda.

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