Relativismo culturale

Il pensiero sociale dello scienziato

il pensiero sociale dello scienziato
Scritto da Adriano Legacci

Il pensiero sociale dello scienziato e le deformazioni imposte dalla cultura

Lo scienziato, così come la maggior parte degli altri membri del corpo sociale, interiorizzano così profondamente le abitudini di pensiero della propria società e cultura di appartenenza – detto “pensiero sociale” – da poter ricavare grandi gratificazioni inconsce da tali deformazioni e dall’adesione compiacente alla domanda sociale.

“Nelle società che esigono dallo scienziato una giustificazione dell’ideologia dominante c’è sempre, inevitabilmente, una certa coscienza di queste abitudini di pensiero socialmente determinate, che non sono però riconosciute come fonte di deformazione della realtà (Devereux, 1967, pag 231).

Il problema secondo Devereux è anche che lo scienziato dall’alto della sua posizione privilegiata rischia di non vedere o considerare le pressioni e deformazioni latenti che lo guidano, e che ne dirigono il pensiero verso mete ingannevoli o schemi prefissati; in una società libera secondo l’antropologo francese è rischioso affidare al gruppo sociale la protezione dell’indipendenza intellettuale.

Siamo noi in prima persona a dover sorvegliare sul nostro pensiero sociale, visto che è nelle società libere che la “polizia del pensiero sociale” agisce in maniera più efficace. Questo capitolo è fra quelli più polemici del libro nel mostrare il profondo legame fra la scienza e le esigenze sociali, Devereux nei vari “Casi” esemplificativi non esita a far osservare come

“Prima dell’era della bomba atomica, molti fisici nucleari oggi famosi avevano un ruolo di secondo piano nei laboratori cui appartenevano” (Devereux, 1967, pag 235).

Al tempo stesso comunque Devereux sottolinea l’importanza di non ribellarsi acriticamente ai sistemi di pensiero sociale culturalmente imposti, la fecondità di un modello di pensiero sociale non dipende dall’essere conformista o ribelle, ma dalla consapevolezza con cui questo modello viene utilizzato.

Come si capisce da queste considerazioni l’etnopsichiatria (legata allo studio e l’assistenza di pazienti e persone legate a culture extra-europee che a lungo hanno subito l’egemonia intellettuale e storica dell’Occidente) comporta necessariamente anche una propria “dimensione politica”, il cui fine d’altronde non è una rivoluzione o un cambiamento concreto e politico dello status quo, bensì un maggior grado di consapevolezza di carattere sociologico (lo psicologo sia anche sociologo) e degli aspetti storico-culturali connessi al fenomeno. In assenza di tale consapevolezza  si rischierebbe di perpetuare un atteggiamento paternalista e cieco di fronte alla diversità di questo tipo di situazioni umane e cliniche.

“Non soltanto la scienza del comportamento è quasi completamente prodotta dalla cultura occidentale, ma è anche essenzialmente fondata sullo studio dell’uomo occidentale. La psicoanalisi è praticamente l’unica psicologia che ha utilizzato fin dall’inizio dati riguardanti l’uomo non-occidentale per formulare i concetti fondamentali sull’uomo” (Devereux, 1967, pag 241).

Ogni scienziato ha quindi una sua ideologia prodotta dalla cultura di appartenenza, e che va ad influenzare la sua opera, i nostri quadri teorici di riferimento culturale sono quindi una fonte importante di deformazione. Fra i vari esempi riportati da Devereux possiamo riportare il Caso 149:

“L’acquisto, tramite denaro, della sposa in Africa è stato un tempo descritto accuratamente- e fortemente condannato-da missionari e funzionari, che non hanno potuto fare a meno di paragonarlo all’acquisto di schiavi. Soltanto quando gli etnologi cominciarono, a loro volta, a studiare quest’usanza divenne chiaro che il pagamento di un “prezzo della sposa” (bride price) la proteggeva da flagranti abusi, e lo sposo da un abbandono immotivato. Anche se “comprata”, una moglie realmente maltrattata poteva tornare presso la sua famiglia, che non era obbligata a rendere il denaro a un marito maltrattante…la dote africana non abbassa quindi la donna al rango del bestiame, ma assicura invece precisamente quella stabilità e dignità del matrimonio che i funzionari e i missionari volevano promuovere abolendola” (Devereux, 1967, pag 255).

Questo esempio (che purtroppo è solo uno dei tanti esempi possibili) ci mostra bene come la cultura di appartenenza dei primi missionari occidentali (unita alla volontà politica di sottomettere tali popolazioni) non ha permesso di instaurare un vero contatto con l’Altro, conoscerne i significati, i desideri, le paure, i sentimenti. Per uno psicologo che vuole cimentarsi in questo settore e fornire a persone di cultura non occidentale una buona assistenza psicologica la sfida rimane proprio questa, tenere a mente gli errori e le deformazioni passate e presenti, nella speranza di poter costruire col tempo un pensiero sociale e un’idea dell’altro un po’ più genuina ed obbiettiva, intravederne il più possibile i lati umani e la profonda somiglianza che in fin dei conti accomuna tutti gli esseri umani.

BIBLIOGRAFIA DEL PENSIERO SOCIALE

  • George Devereux, Dall’angoscia al metodo nelle scienze del comportamento, 1967, Bibliotheca Biographica

Sull'Autore

Adriano Legacci

Titolare del Centro di Psicologia e Psicoterapia Dr. Legacci Padova.
Fondatore dell'Associazione Umaniversitas Academy , Corsi per Manager e Leader.
Cofondatore dell'Associazione Gli Argonauti, Psicoanalisi e Società.

Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave in qualità di psicoterapeuta.

Tiene corsi e seminari di crescita personale e professionale per manager e dirigenti d'azienda.

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