Etnopsicoanalisi

Dispositivo tecnico dell’Etnopsicoanalisi

Dispositivo tecnico dell'Etnopsicoanalisi
Scritto da Adriano Legacci

Psicologia Transculturale. Dispositivo tecnico dell’Etnopsicoanalisi secondo Tobie Nathan

Il dispositivo tecnico dell’Etnopsicoanalisi

Dispositivo tecnico dell’Etnopsicoanalisi secondo Tobie Nathan

Tobie Nathan nei suoi scritti dà grande importanza anche al dispositivo tecnico dell’Etnopsicoanalisi, che secondo lui deve essere rigorosamente gruppale. A suo avviso infatti questo tipo di dispositivo è il migliore nella terapia con pazienti migranti, permettendo di far emergere i conflitti ed i pensieri che non potrebbero venir fuori in un rapporto uno a uno fra terapeuta e paziente. Una persona di cultura extra-europea infatti in media è abituato a pensare in un’ottica dove la comunità ed il gruppo di appartenenza sono più importanti dell’individuo.

Lo stesso individuo presta sempre molta attenzione al consiglio dei saggi del gruppo-comunità, e consciamente o non consciamente considera l’essere membro della comunità come una componente fondamentale della propria identità. Essa alcune volte può coincidere con tutto l’insieme di interazioni sociali che il singolo ha con il suo gruppo, soprattutto se si pensa a contesti come quelli giapponesi o dell’Estremo Oriente. La conseguenza di tal fatto è che il setting più naturale in questo tipo di terapie è quello gruppale: “È come se la presenza del gruppo gli ricordasse l’assemblea dei paesi arabi o le chiacchiere africane sulla piazza del villaggio” (Nathan, 1993, pag 50); il gruppo si rivela essere un piano di appoggio e di rassicurazione conforme alla cultura del paziente, “abituato a sentire la relazione duale come una pericolosa seduzione o come una fatale stregoneria” (Nathan, 1993, pag 13).

Ricordando il caso dei pazienti musulmani che hanno bisogno di esprimere il proprio dolore attraverso la spiegazione tradizionale dei Jinn, essi non riuscirebbero ad accettare in un incontro duale l’interpretazione “lei è posseduto dai Jinn”, ma d’altro canto accettano di buon grado quando nel gruppo si fa circolare implicitamente tale idea e parola, lasciando apparire enunciati quali : “Da noi, in Algeria, in un caso simile, sarebbe stato consultato uno cheikh. Il gruppo quindi permette una circolazione interrogativa della parola, rassicura il paziente dalla presenza di un singolo terapeuta, che potrebbe essere vissuto paranoicamente come un possibile nuovo stregone, e ricrea quel gruppo- assemblea interna che abita il paziente (Nathan, ibidem, pag 50).

Dispositivo tecnico dell'Etnopsicoanalisi

Il dispositivo tecnico dell’etnopsicoanalisi

Il setting standard di una seduta è una stanza piuttosto grande, dove sono disposte in circolo circa 20 sedie. Solitamente il paziente entra nell’ambulatorio spesso accompagnato o dai familiari, o altri operatori sociali, o un vicino/amico, in ogni caso tutti i vari accompagnatori possono entrare in seduta ed almeno inizialmente prendere la parola ed introdurre il paziente, far parte anche loro della “famiglia terapeutica”. I co-terapeuti sono già seduti in cerchio, essi sono delle “mediazioni viventi”, poiché sono di diversa origine culturale ed in grado di utilizzare varie lingue e vari sistemi tradizionali di interpretazione; possono essere figure professionali di diverso tipo (psichiatri, psicologi, educatori, operatori sociali, antropologi, ma dopo aver svolto un proprio lavoro psicoanalitico, almeno nel setting ideale).

Si dispongono nella sala in maniera circolare, nessun posto si differenzia dall’altro, e ciò da già l’idea di un lavoro collettivo. Tali coterapeuti dalla formazione e la provenienza differente riescono ad esprimere e far emergere i tanti e diversi fattori che partecipano alla costituzione dell’identità del paziente. Ogni caso clinico in tal senso è visto come la combinazione o la sovrapposizione di più livelli di spiegazione e causalità, e solo con tanti coterapeuti questo insieme variegato di con-cause può essere colto a fondo.

Gruppo terapeutico multidisciplinare e multiculturale

Il Paziente può essere conosciuto solo attraverso “il dispiegamento di un arsenale conoscitivo multidisciplinare e la mobilitazione di una pluralità di soggetti di diversa ascendenza culturale” (Nathan, 1993); il gruppo permette un discorso sul paziente che non lo fissa in una rappresentazione univoca di tipo diagnostico, ma consente uno svolgimento caleidoscopico delle interpretazioni. Sostegno psichico e culturale, il gruppo consente la circolazione di etiologie apparentemente irrazionali, senza umiliare il paziente e senza costringere il terapeuta all’accondiscendenza.

È proprio questa la forza del gruppo terapeutico multidisciplinare e multiculturale: il suo effetto non si limita all’empatia, alla sensazione di esser stati compresi nella propria lingua, alla possibilità di rievocare la propria nostalgia, ma riesce ad aiutare il paziente in virtù dalla sua specifica capacità di scomporre la rappresentazione dello stesso per effetto delle molteplicità delle etiologie (spiegazioni causali di vario tipo, psicoanalitico, sistemico, tradizionale-magico) emergenti; in un secondo momento poi queste varie spiegazioni emerse vengono riorganizzate in una nuova Gestalt; la Gestalt migliore quindi risulta essere quella che combina e comprende il maggior numero di spiegazioni e livelli di analisi.

Attenzione alla lingua-madre e alla traduzione

Altro cardine del dispositivo tecnico dell’Etnopsicoanalisi del suo approccio è la grande attenzione data alla lingua-madre e la sua traduzione, visto che è con la lingua madre che la persona si costruisce spontaneamente il suo pensiero. Essa ha il potere di evocare l’universo fisico, affettivo, conoscitivo ed esperienziale del paziente; questo universo è lo sfondo strutturante in cui è contenuta l’esistenza di un individuo o un gruppo, e se si vuole conoscere a fondo una persona, esplorarne le fantasie inconsce, è fondamentale permetterle di esprimersi con la propria lingua-madre, la prima a strutturare l’Inconscio. L’insieme dei vari co-terapeuti presenta caratteristiche linguistiche e culturali definite, che gli danno una certa somiglianza alle pratiche tradizionali; questo gruppo costituisce un contesto a metà strada, nel mezzo, ibrido, incontro fra un setting terapeutico occidentale e quello tradizionale della comunità di provenienza extra-europea del paziente.

BIBLIOGRAFIA

  • Tobie Nathan, Principi di Etnopsicoanalisi, 1993

Sull'Autore

Adriano Legacci

Titolare del Centro di Psicologia e Psicoterapia Dr. Legacci Padova.
Fondatore dell'Associazione Umaniversitas Academy , Corsi per Manager e Leader.
Cofondatore dell'Associazione Gli Argonauti, Psicoanalisi e Società.

Opera privatamente a Padova e a San Donà di Piave in qualità di psicoterapeuta.

Tiene corsi e seminari di crescita personale e professionale per manager e dirigenti d'azienda.

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